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VENEZIA

date » 10-09-2016 00:50

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Venezia è un teatro, un palcoscenico, un balcone con vista dilatata su un infinito che sembra non smettere mai.
Cosa penserai mai giovane con cappellino vintage anni 60 e zaino in spalla seduto sul ciglio di un approdo di vecchia pietra? Cosa penserai mai qui colto, più o meno casualmente, in una bella foto di Ivano Mercanzin?
Colto in un fermo immagine che forse ti raffigura il futuro fluttuante e inquieto come questa laguna che sputa in superficie qualche rifiuto della benestante società che con troppo zelante entusiasmo turistico getta bottiglie in plastica nei canali?
Te ne stai a rimirare questo poetico bacino e forse anche evocando una proiezione di te stesso riflessa nell'acqua che sempre si muove e non sta ferma mai? Una nave sta scivolando per contratto turistico e per mestiere, sull'onda verso lidi e porti lontani, d'oriente o d'occidente, forse vorresti esservi a bordo per andartene verso un diverso destino? Chissà quale vera storia ci propone questa foto di Ivano che nei suoi lirici bianchi e neri acquerellati in quest'acqua di mare testimonia ancora una volta il proprio amore verso Venezia e la sua laguna. Una storia salmastra che forse diventa anche dolce."
(FRANCO GOBBETTI)


"Venezia è un nome”
La puoi vedere
dietro qualche angolo scrostato di muro,
coperto di muffa o vite del Canada,
nel fumo che esce dalle case e dalle trattorie
affacciate sulle sponde del canale
e poi moltiplicate sull'acqua
o nelle onde bagnate dalla foschia.
Venezia è anche una giacca
di velluto blu, un orologio sulla scrivania,
il tuo libro di poesie in dono,
un film visto all’aperto e commentato insieme.
È la mia voce
che rincorre ancora la tua sulle scale,
col vento che ci insegue nel tempo
per i negozi chiusi e le vie così strette.
Non so spiegare come, soffio di vita,
stella marina sul cuore,
Venezia a volte è ancora il tuo nome.
(“Da un tempo all’altro”, raccolta inedita),
testo rivisto settembre 2016 © Luciano Benini Sforza All Rights Reserved

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Le vite degli altri

date » 17-07-2016 00:43

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Le vite degli altri
NYC
2015©Ivano Mercanzin

E' sempre una festa poter incontrare un tuo scatto, vuoi per i bianco e neri straordinari che ci doni, vuoi per la capacità di sintesi che si unisce ad un innato dono per raccontare quel che ti circonda e che vivi. "Le vite degli altri", non potevi trovare incipit migliore per presentare la tua visione, nelle vite degli altri noi riflettiamo sempre le nostre, proviamo a raccontarci attraverso quel riflesso in cui speriamo di incontrare un brandello delle nostre vite, per dargli un senso, talvolta semplicemente per mantenerci in equilibrio tra diverse forze contrapposte, non ultima quella che ci vede qui come altrove ad affannarci per chiamare vita tutto ciò che fa parte del nostro quotidiano divenire. Le finestre sono come occhi pronti a guardare ma anche ad abbassare le palpebre per riposare un poco, per recuperare la curiosità di penetrare sia gli abissi del buio che la luce a perdita d'occhio che ci contraddistingue come creature umane. Le vite degli altri, se fossero delle finestre e nulla di più basterebbe affacciarsi per vedere quello che ognuno ha in sè, peculiarità, caratteristiche e pregi, difetti e limiti, traendo le debite conseguenze per non commettere l'errore di tenere lontano da noi quel che accade, tanto appartiene agli altri, noi ne siamo immuni. Un'illusione spezzata ogni giorno della nostra vita dalla dura realtà che ci circonda. Eppure, per un attimo, nel tuo scatto, quella durezza sembra annullata dalla curiosità di penetrare ogni vita che incrociamo, ogni finestra che osserviamo, come fa il sole all'alba, come fa il buio dopo il tramonto. "Ogni passo deve essere lui stesso una meta, nello stesso momento in cui ci porta avanti" così con lo sguardo e tu Ivano Mercanzin fotografando questo riesci a fare.. Stupenda visione
Paola Palmaro

Più si guarda uno scatto e più si scoprono dettagli che ci fanno entrare nello sguardo dell'autore e nella scena cesellata con cura che ci stai donando con questa bellissima composizione. L'albero per esempio, i suoi rami si dirigono quasi ad abbracciare le finestre del palazzo che ha di fronte mentre i riflessi delle finestre rimandano ai suoi rami in un gioco di specchi che il sole e la luce di quella giornata ha reso indimenticabile ed affascinante come non mai. Cosa sono le vite degli altri per noi? Quando incrociano le nostre hanno improvvisamente significato e senso mentre quando le sfioriamo tendiamo ad osservarle come si specchiano i rami alle finestre di questo palazzo, con curiosità, con interesse ma sempre distaccati mentre non esiste vita che sia così lontana dalla nostra che non meriti un minimo di attenzione e cura. Lo capiamo solo quando avvengono fatti tragici e mai quando viviamo in un tempo di pace. La tua foto mi ricorda certe domeniche, al mattino, ritratte da Edward Hopper, dove non vedevi nessuna presenza umana, tutto era silenzio e sembrava che ogni persona stesse ancora indugiando a dormire, chiusa nella propria casa. Una solitudine nelle strade che era fin dolorosa e metallica, quasi gelida, mentre nel tuo scatto questa sensazione è tenuta a bada dall'albero, dai suoi rami, da quelle braccia che stanno quasi picchiettando sui vetri delle finestre per risvegliare chi sta dietro di essi. Stupenda visione, composizione, non smetterei mai di guardarla tanto è bella questa tua fotografia! Un gioco di linee e di geometrie che andando in profondità riesce a descrivere un tutto che neppure si scorge, eppure è tangibile come non mai! In questo sei sempre bravissimo e ti ammiro...
Paola Palmaro

UN RACCONTO NEL RACCONTO

date » 03-06-2016 19:32

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2016©Ivano Mercanzin

"UN RACCONTO NEL RACCONTO"
di Franco Gobbetti.

Sì, un racconto il tuo, Ivano e anche il mio, se tu permetti, in conseguente botta e risposta per trarne, se ci riesco, una piccola, possibile storia che già è qui, tutta presente nei suoi brillori in bianchi neri plastici desiderosi di raccontarsi. Storia surgiva ed obiettiva, nata istintivamente o intenzionalmente, chissà, da questa bella foto, un'anima narrante in attesa di uscire e farsi leggere e raccontare, se vuoi. Un commento o una recensione o una provocazione amichevole e affettuosa che vuole o vorrebbe approfittare di questo tuo stupendo lessico estetico e grafico offerto da un'immagine che emana spiriti, evocazioni, storia, cronaca e arte in chiaro scuri vaporosi d'acqua sinuosa ed insinuante e sospirante aria salata. La foto già racconto di per sè, fin da subito, nel suo fresco e lustro guazzo odoroso di salmastro mare, evoca vecchie storie di consunte pietre e antichi legni di navigli, pontili, attracchi ed ormeggi. Un tempo, un luogo, un paese isolano che vive con le radici nel mare, un ambiente che di per sè è già storia gloriosa e gratificante. Storia nella storia dunque. Orgoglio storico, fascino e desiderio di condivisione lirica, spirituale ma anche materica e concreta. Un'atmosfera intensissima gioca tra acqua e cielo entrambi modulanti umide voci e alcune figure in movimento, un'imbarcazione in fugace navigazione, alcuni scafi alla fonda d'ormeggio, un uomo, un cappello, un ombrello, alcuni muri e poi lo spazio urbano marinaro e marinaio.Il tutto appare e si esprime come su un palcoscenico in un taglio di luce diagonale quasi drammatico, anzi, dire proprio drammatico, nervoso, inciso e tirato visivamente all'inverosimile. Il cielo già basso tende a scendere ancora di più su questo squarcio lagunare, pesando immane e quasi rapace in questo taglio spiovente, corrucciato e sfrangiato nelle proprie evoluzioni di bassi e intensi nembi cotonosi sfilacciati, ancora custodi e forieri di prossima probabile pioggia. I pesci, le alghe, i fondali lagunari della Serenissima e le creature d'acqua e fango se ne stanno rintanati mentre le case immobili interpreti, testimoni come sempre di questa scenografia a cielo aperto, sembrano sfidare il tempo immane, il cielo eterno, l'occasionale pioggia e l'onnipresente, immancabile mare giuliano in compagnia di un vento sonoro che porta e riporta, linguaggi, fiati, sapori, echi, figure e voci nuove ma anche emozioni antichissime. Uno sparuto quanto solitario passante in occasionale controluce o quasi, sembra indugiare, rapito ma ben consapevole, a guardare, ad ascoltare questi suoni liquidi e lucidi di bagnato, come scure, brillanti pelli d'anguille, che rimbalzano da riva a riva, da canale a canale, di onda in onda, di casa in casa, di chiglia in chiglia per poi disperdersi più lontano in un affogare continuo e ripetuto appuntamento naturale tra nubi e onde d' Adriatico. Un quadro intriso di luce chiusa, plumbea ma nello stesso tempo anche inaspettatamente brillante, una luce quasi che schiocca per riflessi e luccicori brillanti, esplosa in varchi e vampe graffianti che sfiorano le ombre e le penombre diffuse del borgo marinaro. Il passeggiatore con cadenza amena e pacata, si presume da conoscitore dei luoghi, con il volto nell'aria, con il viso pieno d'aria e ventosa salsedine porta a spasso se stesso ma anche l'ombrello chiuso ed il cappello che sembra tenergli e contenergli i pensieri ben riparati e fissi, a prova di colpi di vento, ben calzato in testa. Il passo dell'uomo è lento, rilassato, si direbbe che procede con un passo che gusta e degusta, apprezzando. Non potrebbe essere altrimenti, in quanto se così non fosse non permetterebbe a quei suoi pensieri e allo sguardo di spaziare in quell'incanto urbano e marino al contempo, prettamente lagunare che per fortuna continua a ripetersi con sua e nostra profonda soddisfazione e incantata ammirazione. Cuore di terra e acqua salata. Profumo di sabbia, sale, pesce, legno bagnato, fango e anime marine. Un'isola che è al contempo paese riparato e anche ampio respiro aperto sull'antico mare che, come un anziano patriarca veglia sui suoi domini. Tecnica fotografica e stile narrativo a mio avviso pressochè perfetti, c'è sempre tanta bravura nel confezionare, rapire e fermare immagini e sensazioni così vibranti e toccanti.

Adoro il contrasto che hai donato a questo frame, c'è forza in ogni ombra che veste sia il luogo che la figura umana. Venezia dona infinite suggestioni, potremmo visitarla innumerevoli volte e scoprire in ogni occasione la sua capacità di essere tutto ed il contrario di tutto. La tua visione mi fa percepire il suo bisogno di sopravvivere alla natura che la circonda, al suo stesso destino, apprezzo quella cupezza apparente e la leggo come se fosse un'inspirazione profonda prima di raccogliere tutte le sue forze per rispondere al clima, all'acqua, agli esseri viventi che la abitano, mostrando il suo carattere silenzioso e malinconico ma per nulla rassegnato.
Paola Palmaro

RACCONTO: Non lasciarmi adesso che ho tante cose da dirti

date » 26-03-2016 19:15

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foto: NYC 2015©Ivano Mercanzin

“Non lasciarmi adesso che ho tante cose da dirti”.
Renè aveva finito di scrivere la sua ultima lettera alla donna che avrebbe voluto continuare ad amare come quando l'aveva conosciuta nella subway. Era riuscito con un piccolo gesto eroico a disincastrarla dalle porte della metro che le avevano stretto il cappotto come due tenaglie. Dal panico alla riconoscenza in pochi attimi, poi l'invito per un caffè, i primi imbarazzi, i primi baci e la vita insieme in un monolocale sulla 41St Avenue.
Aveva lasciato tutto alle spalle Renè, la sua laurea in filosofia, gli amici di Lione e il lavoro come cassiere in un discount, aveva seguito le strade che imboccava ogni notte quando spegneva le luci e dava l'ultimo sguardo al sax prima di addormentarsi. Erano le vie del Jazz, dei locali bui, dei tavolini rotondi in radica, di posa ceneri zeppi e di donne che si strusciano addosso e ammiccavano a chiamata per un Gin Tonic. Suonava di giorno e di notte Renè, inumidiva l'ancia con la stessa passione con cui baciava la sua Jenny quando all'alba tornava dai concerti dopo aver interpretato i brani di Jonh Coltrane o Michael Brecker in quei piccoli club dove il compenso di fine serata è incerto fino alla fine. Suonava per lei e per lui e per quel figlio che non arrivava “per colpa di quel posto di merda dove lavoro”, come diceva sempre Jenny piangendo davanti allo specchio del piccolo bagno di casa.
Lavorava in un fast food Jenny, uno di quelli che a pochi dollari ti danno il pollo fritto o un hamburger crudo. Era l'addetta ai fritti, stava nelle retrovie Jenny, impugnando il cesto della friggitrice e facendolo roteare con attenzione per non ferirsi alle mani. Ma in fin dei conti quegli schizzi di olio bollente le erano familiari, le lievi ma profonde scottature le avevano segnato le dita, i polpastrelli, il polso, sotto le urla del capo che alla cassa ordinava le solite patate fritte, la solita coscia di pollo ben rosolata. Non c'era tempo da perdere in quella stanza lunga e stretta dove all'ordinazione seguiva un drin che indicava il cibo da cucinare all'istante.
E' un Mi o un Re, aveva ipotizzato Renè quella volta che era andato a trovare la sua donna in quel fast food. “Quel drin corrisponde ad una nota precisa” le aveva spiegato mangiando un fish and chips seduto al tavolo che dava sulla galleria del centro commerciale. “Devo capire quale”.
Era questo che Jenny detestava di Renè, quella dimensione extra terrena che lo avvolgeva fin da quando era arrivato a New York per fare il musicista immigrato. Quell'essere distante da tutto, sospeso come una melodia, prossimo all'essenza senza però coglierne il fulcro. Era apparente profondità, almeno questo pensava Jenny, era distanza che provocava un solco, uno fessura che giorno dopo giorno si allargava mentre il giorno e la notte dividevano le loro esistenze fatte di crocchette impanate e improbabili club a ovest, sulla 52esima strada. Era una ragazza fiera Jenny, forte di quella fierezza che arrivava da lontano, quando sei abituata a combattere da sola per un libro di scuola, per un jeans in vetrina o per un maledetto i-pod che fino a ieri dovevi condividere con tua sorella. Si chiamava identità, indipendenza, capire fin da piccola poche regole: rispettare e farsi rispettare, era l'unica cosa che le aveva insegnato sua madre. Il resto l'aveva realizzato da sola, gli studi in una scuola pubblica, un lavoro, un amore, una casa, il tempo da trovare per leggere i classici alla Public Library sulla Quinta Strada. Le bastava questo per compensare quelle ore nei panni dell'addetta ai fritti.
L'addio Jenny l'aveva meditato da tempo, quella mattina prese la metro alle 7 di mattina. Uno zaino pieno di t-shirt e libri, una bottiglietta d'acqua, il giubbotto nero comprato in saldo una settimana prima e le cuffiette per sentire l'ultimo rap di Fatty Wap. La colonna sonora perfetta per dire basta, non era Renè la causa di quel viaggio che la ragazza del Queens Bridge voleva assolutamente compiere. Piuttosto la fuga da quel mondo monocorde, monocolore come il tono su tono della stazione della metro. L'attendeva la sorella e nessun altro, dall'altra parte della città, lontano da tutti, lontano da quei drin, distante dal jazz. Aveva perfino gettato la scheda del telefonino in un tombino, aveva chiesto in silenzio di essere lasciata in pace, voleva l'isolamento, chiedeva la solitudine. Lei, che per tutta la vita era stata costretta ad essere qualcuno o qualcosa.
A Renè mancava la forza per cercarla, il desiderio di possederla, la voglia di riaverla anche solo per un giorno. L'unica consolazione era sapere che Jenny si trovava dalla sorella in chissà quale appartamento e quella certezza era diventata un rifugio per tutte le sue insicurezze. Steso sul letto, aggrappato alla custodia del sax produceva lettere per dirle tutto ciò che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare, fino a sputare la cattiveria che non aveva mai potuto esprimere, collocato fino a quel momento in un ruolo che deformava la realtà più intima.
“Non lasciarmi adesso che ho tante cose da dirti”, ripeteva in ogni scritto in calce, prima della sigla con cui si firmava. Ne scriveva due a settimana, una martedì e una sabato, le spediva l'indomani calcolando i tempi di arrivo a destinazione. Divenne una cura per lui e per lei che a quelle lettere non rispose mai. Finchè un giorno Jenny scese alla fermata 21Street della metro, salì le scale per imboccare il viale alberato che l'avrebbe condotta a casa, suonò il campanello ma non rispose nessuno, allora frugò nella borsa per trovare le chiavi ed entrò senza un'emozione particolare. Se n'era andato, aveva lasciato il sax appoggiato al muro del cucinino. Sul frigo aveva appeso un foglio giallo indirizzato a lei, sicuro che prima o poi sarebbe tornata. “Avevo tante cose da dirti e le ho dette tutte, ora sono stanco, esco per un Gin Tonic”.
E.MAR.

E bravo Ivano che riesci con sensibilità a trasmettere ancora più fascino e interesse a queste tue foto urbane, anzi superurbane. Ci riesci nel senso che sai unire sguardo e cuore, macchina fotografica e sentimento, visualizzazione e considerazioni liriche o poetiche. Le tue immagini appartengono al tessuto gigantesco di una enorme città. Esse ti impegnano e ti coinvolgono evidenziando non solo il linguaggio visivo ed espressivo delle situazioni, di questa situazione in particolare, ma riusciendo pure a liberare naturalmente un filo creativo ed emozionale più ampio e completo. Ne nasce quindi un racconto. Improvvisamente una storia prende corpo da un appunto, da un quadro in un fermo immagine, uno stop che non azzera ma evoca e rimanda a vari pensieri e considerazioni peraltro contingenti e conseguenti alla foto stessa. Evochi qui una storia raccolta per strada, dai marciapiedi e dai quartieri che nasce da un riquadro visivo urbano di comune vita cittadina e quotidiana. Bella la foto e bello pure il testo. In questo modo rispondi bene e in giusto tempo a quanto ha pubblicato qui sotto Simona Guerra nei suoi articoli riguardanti fotografia e scrittura che peraltro mi trovano d'accordo anche se l'argomento in se meriterebbe forse più spazio e approfondimento. Anch'io nella mia pagina sto tentando di sperimentare fotostorie o fotoracconti che pubblicherò quanto prima sottoponendoli a giudizio e commento pubblico e soprattutto tuo e vostro, se vorrete essere disponibili, spero di si. Credo comunque che un buon fotografo o un buon operatore impegnato nelle arti visive o nella comunicazione più in generale, da bravo cacciatore d'immagini e da bravo evocatore scenico, non possa che essere anche scrittore. Forse non riuscirà ad esserlo talvolta nell'espressione grammaticale più raffinata, sintattica, lessicale o stilistica ma lo sarà senz'altro nell'animo e nel pensiero. Come sempre un apprezzamento particolare per questi tuoi lucidissimi e molto umani bianconeri estremamente espressivi che sai far parlare al meglio in tutta la loro grafica e che riescono ad animare situazioni, estetiche, storie e varie umanità attraverso la loro particolare e talentuosa grafia narrante e narrativa.....ciao.
FRANCO GOBBETTI

Venezia a colori

date » 25-02-2015 23:54

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Come non addormentarsi con negli occhi una scena di tale grazia, non perchè pregna di romanticismo, tutt'altro! Venezia può essere tutto ed il contrario di tutto in tal senso! Mi ha colpito questo tuo scatto per quel candore feroce che la corrente dell'acqua invita a prendere in considerazione, quel "panta rei" che ci indica quanto l'amore scorra e muti, che sia foriero di attimi indimenticabili e nello stesso tempo stia a noi farlo invecchiare bene, al meglio delle sue possibilità! Tutto muta o scorre, emerge o sprofonda, si trasforma nel bene come nel male. Adoro questa tua immagine perchè non indulge nella tentazione di mostrarci solo il lato più luminoso dell'incantamento amoroso. La scalinata, il vento,la stessa corrente dell'acqua.....le due figure di schiena, l'imbarcazione, promettono fatica e brividi di freddo, un costante lavorio per fendere la superficie ed andare in profondità, una quotidiana promessa concentrata sulle piccole cose. Forse, e sottolineo "forse", la magia di un incontro risiede nel risalire insieme la corrente della quotidianità, di trasformare il freddo in una sferzata di energia, il silenzio in parole pregne di significato, l'attesa in un guardare insieme verso lo stesso punto. Questo mi hai suggerito con il tuo scatto e te ne sono grata. Con estremo pudore ed incisivitò la scena che di hai descritto, secondo me, esprime la vera essenza dell'amore: "esserci", nonostante tutto, l'uno per l'altra, a volte faticando e rabbrividendo, altre con più entusiasmo e calore. Sempre avvolti dalla pazienza che possiedono le piccole/grandi emozioni e quel che resta di ogni giorno vivendole senza gridarle ne urlarle, lasciandole fluire e scorrere dentro di noi come la coppia pare stia facendo nell'istante in cui l'hai fissata per sempre nel tuo scatto!
Paola Palmaroli

Di grande pregio Ivano: è un luogo che ho visto mille volte, di cui par quasi impossibile, nel reale, cogliere magie... Eppure, ritratto con semplicità, per pochi elementi formali, cromie, rappresentazione dello spazio, diventa qui gravido di poesia....
Francesco Merenda

Photokina 2014 - Leica Gallery

date » 28-09-2014 11:11

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Un bellissimo " classico" su cui però bisogna riflettere: grande equilibrio tecnico e visivo, profondo e misurato ma splendido senso dello spazio, perfetto rapportarsi dei toni di grigi e magie della luce e dell'ombra...poi il tocco, la sapienza e la capacità di vedere e fermare; l'effetto ottico di movimento, basculante e oscillatorio, dei quadri che sembrano correre sulle parete; la posizione ferma quasi surreale nella spiazzante ferma posizione in cui sono state riprese in maniera sincronica le figure con quella della donna, che qualsiasi cosa faccia, sembra una ricamatrice uscita da un quadro di Vermeer. E tutto unito nella lucida metrica di una dimensione e situazione che si trasforma grazie anche allo spazio in immagine metafisica dove la visione, ma anche la realtà fisica del luogo, divengono la grande poesia di una attimo emotivo vissuto in prima persona. L’immagine supera se stessa e diventa visione. Una splendida foto.
Lorenzo Crinelli

prospettive in movimento

date » 06-09-2014 18:55

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C'è il bel punto di ripresa con la lunga descrittiva prospettiva che apre alla piazza, il pulviscolare ed articolato dettaglio, una bella ombra che crea fantastiche suggestioni riversandosi tuttavia nella luce magica e bellissima: cose da bravo attento fotografo, però...c'è qualcosa che solo e soltanto chi sa cogliere l'attimo giusto, il momento che diventa emozione, per fermare le piccole cose nella loro giusta misura le trasforma in poesia visiva. L'attimo magico che interrompe il silenzio, l'incantato silenzio attraverso il ritmico passo di un piccola figura che si apre allo spettacolo della solare luce e alla bellezza del luogo e con la sua presenza rompe un equilibrio fotografico soltanto estetico per trasformarlo in lirico racconto di una piccola storia di quotidiana limpida memoria.
Lorenzo Crinelli

il paese fantasma

date » 20-07-2014 11:26

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Pur con la malinconia che impregna i ruderi e quella finestra aperta priva di balcone in particolare la presenza del gregge e la vegetazione, il respiro dato dal cielo ed i toni tenui dei colori riescono a trasformare un paese fantasma in una visione di grande suggestione e fascino. Splendida la propsettiva da te scelta che ci porta fino alla casa sulla sinistra con un'apertura nella parete biancastra che congiunge al cielo lo spazio circostante! Davvero un gioiello questa tua visione!
Paola Palmaroli

intersezioni

date » 12-07-2014 21:38

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" Caro sono stanca del caos della città....
cambiamo vita...prendiamo casa al mare....sole, tanta quiete, vento e frescura....."

" Si cara......e la pianta di rosmarino, che da tanta parte dell'ultima ringhiera il fiuto di tremendi grassi arrosti esclude....."
Vanessa Cavenaghi

assolo per cane e lampione

date » 04-05-2014 09:50

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(Cinzia Anna Rizzo)
Anche queste sono solitudini urbane…

(Roberto Pireddu)
Mi piace. Mi piace perchè nella notte, quella parete chiara crea un contrasto cromatico che quasi fa sembrare giorno. Quasi a far si che lo scatto si possa leggere anche in negativo, dove il nero è la silhouette di un palazzo e il chiaro è lo scorcio di cielo con il mare sotto. Complimenti caro Ivano. Per me, grandissimo scatto.

(Alessandro Cocca)
Una verticalità straziante, d'abbandono. Chi meglio di un cane, solo come un cane può darti queste tremende vibrazioni malinconiche e malate. Questa come dice Roberto è grande fotografia. E la palma....una boccata d'ossigeno tra i cementi squadrati e grigi e lo sguardo dritto in camera di quell'anima quadrupede...caspita. CASPITA.
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