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Ho scelto la via dei colori: racconto di Tania Piazza

Eccolo che arriva, il primo raggio. Mi affretto ad alzarmi dal mio angolino, è proprio questo momento quello che da' il la a ogni cosa. Raccolgo il vaso colorato da terra e lo sposto dall'altra parte, davanti alla finestra. Ho creato dei piccoli altari per lui, sono semplici cassette di legno vecchio, niente di che, ma mi pare che ci sia una connessione, tra di loro. Il legno è accogliente, mi ricorda il nonno, quando da bambina mi faceva entrare in casa e mi sistemava sulle sue ginocchia senza parlarmi. Io poi restavo lì, calma e tranquilla. Sentivo il suo respiro che poco per volta diventava regolare e sottile e mi sembrava strano, lui così grande e vecchio con un'aria così leggera dentro. Però forse era proprio quel particolare a calmarmi in quel modo. La mia energia usciva rallentando, per una volta, e incontrava il suo respiro quieto. Il legno di queste cassettine mi riporta lì, e mi sembra che anche il mio vaso di vetro possa stare meglio.
E' l'alba e dormono tutti, ognuno a modo suo. La notte per alcuni è ancora un inferno, un tratto attraverso il quale non sai se riesci a passare. Lo è stato anche per me, a lungo, e non sento nessuna mancanza di quelle sensazioni. Il buio ha una forza tutta sua, è lo stregone che annienta le anime e svuota i cervelli, riempiendoli del male. Tutte le volte che sono tornata a cercare la bottiglia è stato sempre di notte. Chissà perchè, la luce del giorno fa vedere le cose più facili, ti senti forte e ti pare di poter battere qualunque demone maledetto. Poi invece, di notte, il maledetto torni a essere tu e la forza svanisce.
Comincia a prendere vita la parte bianca. Pura e bella. Ormai, ho imparato l'esatta angolazione con cui devo porlo alla luce, per far sì che i colori arrivino nell'ordine che voglio io. All'inizio non mi era concesso venire qui così presto. Le regole, dicevano. Io mi arrabbiavo, le regole mi fanno arrabbiare. Non c'è mai stato nulla di regolare, nella mia vita, ed è proprio questa la causa di tutto. Sarebbe stato tutto molto più semplice se avessi sempre avuto il respiro del nonno a fianco, mi avrebbe di sicuro fatto vedere la via da percorrere. Invece, ti ritrovi solo d'un tratto e ciò che ti è sempre parso facile diviene all'improvviso difficile. Il mondo mi ha fatto paura, non sono tutt'ora convinta che sia un mondo buono, questo. Lo fosse per davvero, non sarei sola, ancora. Sarei con lei, e magari sentendo il suo respiro calmo come quello del nonno mi calmerei anch'io. La calma, ora, invece, arriva con le medicine che ci danno. Alla fine, sono diventate quelle le nostre regole, e non i loro stupidi orari. Ho insistito tanto, e alla fine l'hanno capito: dopotutto, non do fastidio a nessuno, messa qui in questo angolo. Non accendo nemmeno le luci, e forse è anche per quello che mi lasciano star qui, adesso.
Seguire il percorso dei raggi del sole mi permette di darmi una regolata. Ma stanotte ho voluto andare oltre e, come ieri notte e quella prima ancora, sono stata qui. E' il primo mese che lo faccio, ma ora che ho scoperto che anche la luna piena dà vita al mio vaso, nessuno mi smuoverà più da qui. Avevo paura, all'inizio, sempre per colpa di quel maledetto buio. Poi, mi son detta che tanto bottiglie non ce ne sono e che al massimo avrei potuto mettermi a bere dell'acqua. E poi, non c'è silenzio, qui, la notte. Ognuno credo faccia rivivere i suoi pensieri e quello che si può ascoltare è un suono basso e diffuso, fatto di lamenti e risa, di sogni che tornano e sogni che cadono a terra, e fanno rumore. Quando le infermiere passano a controllare, non si accorgono di nulla. Ognuno di noi ha imparato a tener ben nascosto ciò che lo divora, ma le mie orecchie, che sono orecchie che han vissuto il male, lo riconoscono.
Per stare qui di notte ho dovuto invertire le mie abitudini. La stanza ha due grandi finestre, una opposta all'altra. L'angolo in cui mi sono sistemata è quello più stretto; mi piace lì, proprio perchè mi abbraccia, in qualche modo, non ho spazio per perdermi e mi tornano in mente ancora le gambe del nonno. Ho un piccolo materasso che piego a elle se voglio stare seduta appoggiata al muro, e distendo a terra se voglio stare buttata. La coperta è verde scuro come il fondo del mare e ha tante sottili frangette alle due estremità. La finestra vicino al mio angolo è quella che vede la luna; quella di fronte vede il sole. Quindi, tre sere fa, per la prima volta ho spostato il mio vaso per metterlo ad aspettare la luna. Me lo son tenuta vicino, una mano a sentire il freddo del vetro e gli occhi rivolti al cielo. Mi è piaciuta questa sensazione, era come se il freddo del vetro fosse il freddo della notte, penetrata dentro qui. E' stato intenso. Vero, come poche cose qui sembrano essere. La luna si è fatta aspettare un bel po'; in quelle prime ore ho avuto paura di essermi sbagliata, e mi è venuta più volte la tentazione di tornare in camera mia. L'infermiera è passata spesso a chiedermi se stavo bene, se magari non avessi cambiato idea, che mi avrebbe riaccompagnata lei a letto. Ma non ho voluto dargliela vinta. Loro fanno sembrare che le cose che diciamo noi siano assurde, come se i nostri pensieri nascessero da luoghi della mente diversi rispetto ai loro, più sbagliati. Ma non è sempre così. Le persone come me a volte sono più vicine alla verità di chiunque altro.
Quando la luna alla fine è arrivata, è stato come quando mi danno il sonnifero e io non voglio lasciarmi andare all'effetto della medicina: le mie braccia e le mie gambe erano stanche per tutte le ore passate in questa scomoda posizione, ma il mio cervello era vivo! Il modo in cui la luce ha illuminato il vaso mi ha riempito di una gioia che solo da quando lei è nata conosco. Il primo colore a prenderla è stato come al solito il bianco, mi piace ogni volta iniziare da lì. Mi ha ricordato il suo viso innocente e piccino, la pelle nuova, sulla quale nessun male ha ancora lasciato il segno. Poi, è arrivata al verde, ed è il colore che avranno i suoi occhi, quando sarà calma e nessuno la farà arrabbiare, quando la vita sarà buona con lei e niente le impedirà di viverla. Alla fine, ecco il rosso. A differenza della sfumatura che gli dà di solito il sole, la luna lo ha riempito di ombre. Il sangue sarà dunque meno acceso, e questo vuol dire che soffrirà meno.
Mi alzo a spostarlo più avanti, scrivendo mi son persa e il primo raggio è già diventato grande - la luce cammina veloce, a volte, e questo mi stupisce. Eccolo, che abbraccia il verde, lo attraversa e lo fa divenire un gioiello. Brilla di mille sorrisi, e son quelli che lei avrà quando sarà felice, quando non ci sarà nessuno tra lei e i suoi pensieri. Non come qui, dove sono sempre osservata quando scrivo. E' come succedeva a scuola, come se loro volessero intrufolarsi tra i miei pensieri, quando nascono nella testa, e le pagine del mio diario, quando diventano parole. Ecco perchè me ne sto sempre qui a scrivere, perchè sono sola e nessuno me le può rubare, quelle parole, prima che si depositino sulla carta, dove potranno stare al sicuro. Un giorno, magari, le farò leggere a lei, e questa è l'unica forza che mi spinge in avanti. Le racconterò di come stavo bene, sulle gambe del nonno, di come il suo respiro lento mi faceva vivere e di come quel respiro mi è poi mancato. Di come mi son sentita soffocata, senza di esso, perduta e fragile. Le dirò che l'alcol ha preso il posto di quel respiro con una violenza che mi ha strappato l'anima, senza pietà. Sono stati proprio anni di non respiro, tristi, in cui la mia vita consisteva nel non vivere, nel cercare di distruggere ogni pensiero ancora prima che nascesse, buttandoci sopra alcol, tanto alcol, centinaia di bottiglie bevute senza sentire un sapore, se non quello dell'inferno.
E ora eccolo, il rosso, che come ogni giorno, inesorabile, prende colore. Anche se mi dimentico di spostare il vaso, anche se mi rifiuto di farlo, eccolo che arriva, implacabile. Il sole è crudele, come la vita, non ti dà scampo nemmeno se lo implori. Potrei fare a meno di venire qui, potrei starmene in camera a letto, con le finestre oscurate fino a che non si fa sera. Ma non vedrei il mio vaso che prende vita, non vedrei il bianco che mi parla della sua pelle pura e il verde che mi dice che i suoi occhi son felici. Potrei fuggire via con il vaso stretto tra le mie braccia prima che il sole arrivi alla striscia di rosso, prima che quel colore di sangue mi ricordi che sono una dannata. Ma non servirebbe, so che questo non cambierebbe le cose.
E' stato fantastico, crearlo. L'artista che ci ha insegnato a lavorare il vetro ce l'aveva detto, quel giorno che è venuto a farci visita. Ci ha spiegato che ognuno di noi avrebbe trovato un mondo nuovo, lì dentro e che la scelta dei colori e della forma parlava proprio della nostra vita, senza lasciare nulla al caso. Chissà perchè, il primo colore che mi è venuto in mente non è stato il rosso, ma il bianco. Ero stupita di questo e gliel'ho detto: mi sarei aspettata che prima di tutto volesse uscire il male, dalla mia testa, ma lui mi ha guardata per qualche secondo e poi mi ha sorriso. E' stato lì, che mi è venuto in mente il verde. Perchè ho capito che negli occhi di qualcuno ci può stare un sorriso, anzi anche più di uno. Dieci, cento, mille sorrisi diversi, perchè la vita a volte fa sorridere. Queste cose non me le ha dette lui, ma ho capito che era quello che voleva comunicarmi. Poi, con una voce molto calma, mi ha risposto. "Lascia che i colori ti facciano star bene. Loro sanno come fare".
E allora ho capito. Ho capito che dovevo lasciare andare i pensieri, finalmente anche in quegli angoli che avevo blindato nella mia testa. Ho capito che fino a che non avessi vomitato fuori tutta lo schifo e l'amarezza, non sarebbe nato nulla di bello. Ho pensato al rosso, il terzo colore che ho messo nel mio vaso, una macchia informe che ho creato per ricordarmi per sempre del periodo in cui la mia mente non viveva, soffriva solo, in silenzio, annegata dall'alcol e dall'inutilità. E' stato proprio lì che ho toccato ogni fondo possibile, mi sono fatta male e il sangue non è mancato, ho vissuto con persone senza un'anima, completamente svuotate di ogni ragione di vita, ragazzi come me, giovani e dannati, imploranti forse solo una salvezza o una fine veloce. Ho conosciuto Marco e con lui la discesa agli inferi è arrivata in un lampo, ci siamo alimentati di un amore che non aveva all'interno nessuna ragione concreta se non quella di danneggiarci a vicenda, rendendo sempre più vivo quel rosso che non voglio più dimenticare. Poi, è nata lei e poco per volta sto iniziando a comprendere il significato di tutto il mio percorso.
Oggi sono sola, ancora, senza lui e senza lei. Nei miei diciassette anni non ho conosciuto altra condizione, o quasi. Sono volata all'inferno per cercare una compagnia, qualcosa o qualcuno che potesse stare attaccato alla mia anima, senza riuscirci mai. Ho implorato chiunque mi ritrovassi a fianco di farmi del bene, di farmi sentire meno inquieta, di far passare le cose sopra di me senza distruggermi. Non ho avuto fortuna, credo, ma non ho perso la speranza. Anzi. Mi sono ricordata proprio l'altra notte di una cosa che mi ha sussurrato il nonno, un giorno, all'orecchio, finchè me ne stavo sulle sue ginocchia. "Ricordati di cercare la via", mi ha detto, "perchè a volte non avrai gli occhi abbastanza spalancati per vederla bene". Ora, qui in questo posto, so che dentro ai miei occhi ci sono anche quelli di mia figlia, anche se lei non sta con me. Sono diventati più grandi, e, spero, più capaci. Non è ancora finita, lo so, il mio inferno mi attende ancora, da qualche parte, osservandomi. Ma qui non sto poi così male e ogni giorno mi perdo nel cammino della luce che fa vivere il mio vaso, e mi fa tenere per mano, vicini, i colori della mia vita.
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