infinità racconto di Tania Piazza
Stare appiccicati a qualcuno, si può. Io l'ho fatto per anni, fino alla settimana scorsa: esattamente sei anni e ventidue giorni. Senza farmi vedere, senza che lei lo sapesse, almeno non più. All'inizio, gliel'avevo detto ben chiaro: "Non ti abbandonerò mai, non ti lascerò andare nell'oblio. Sarò sempre con te, anche se non mi vuoi più." Che poi, non è stata lei a decidere che dovevamo dividerci; è stata la vita stessa a farlo. O meglio, la mia vita ha portato lei a dirmi addio. Ci siamo conosciuti che io ero già sposato, con due figli. Perchè non potevamo incontrarci prima? Dopotutto, era con una come lei che avrei voluto costruire una famiglia. Era con una come lei, che avrei voluto camminare giorno per giorno. Alla fine, quello che mi ha fregato è stato quel "come lei". L'ho compreso dopo, che esiste solo una Lei, e qualcuna, forse, come lei. Con la quale si può stare bene, ci si può sposare e ci si può anche fare dei figli; ma quando poi la vita ti mette di fronte a Lei, allora capisci tutto. E vorresti poter tornare indietro, per compiere di nuovo le tue scelte, ma sai che non è possibile.
Quando ci siamo incontrati, ho provato a far finta di niente. Ho proseguito senza cambiare nulla. C'era solo Lei, in più, ma non credevo che questo sarebbe bastato per smontare il mio equilibrio. All'inizio, ho chiuso gli occhi, semplicemente: Lei mi cercava, ma io fingevo di non vederla. Credo sia stata la vita stessa a ingiungermi di aprirli, quegli occhi, quella stessa vita che oggi mi spinge a chiuderli di nuovo. Resisti, per un po', ma poi non ne hai più, nulla può contrastare ciò che porta in sè un vago sapore di infinito. E allora lo accogli in te, e ti accorgi che quello che prima chiamavi vita, altro non era che una brutta copia, una prova scritta in fretta, d'istinto, da riportare prima o poi in bella. Pensi ai tuoi figli, pensi a tua moglie. Alla casa. Alle vacanze. Alla cena da preparare. Agli acquisti da fare. All'erba del giardino da tagliare. In mezzo a tutto quello che è vita, vorresti metterci Lei. Come se nulla fosse, tra una lista della spesa e i bambini da portare a scuola.
Ma Lei non ci sta, e allora glielo spieghi che non puoi cancellare anni di vita vissuta in nome di una promessa di anni di vita da vivere. Glielo dici che non puoi immaginare di ritornare a casa la sera, dopo il lavoro, e non sentire più i rumori dei tuoi figli che giocano tra di loro e rinunciare a vedere la scintilla che, in mezzo alla stanchezza di tutto il giorno, anima comunque di gioia gli occhi di tua moglie. Lei, dove potrebbe stare in tutto ciò?
Non ci sta, punto. Ecco perchè decidi che le rimarrai appiccicato per sempre, a distanza, addosso come fosse vero, ospite nel tuo stesso cuore. L'ho portata da allora, dentro di me, e me la sono tenuta stretta ogni giorno. Per sei anni e ventidue giorni, in ogni momento della mia vita. E' come se l'avessimo vissuta in due. Lei forse nel frattempo se l'è dimenticato, ma il mio cuore ha sempre battuto doppio, a ogni battito: uno per me, e uno per Lei. Gliel'avevo giurato, che non l'avrei lasciata andare mai, ed è questo che ho fatto. Anche quando ho saputo che si era fidanzata. Anche quando mi hanno detto che cercava casa, per starci con lui. Non ho mai visto una fine, in questo, solo un naturale proseguio delle nostre vite. Svegliarmi alla mattina sentendola dentro di me; sognarla, a volte, la notte, per vivere degli sprazzi di irrinunciabile felicità. Non ho mai visto una fine, mai.
La scorsa settimana, però, ero in coda per un hamburger, come al solito: la mia pausa pranzo veloce, qui sul lungomare. I gabbiani hanno la voce acuta, e a volte ho l'impressione che possano scheggiare il cielo; mi piace starmene qui ad ascoltarli, mentre mangio, prima di tornare in ufficio. E' come se ogni giorno la perfezione cristallina del paesaggio venisse messa in pericolo dalle loro urla, e amo vedere come questo non succeda mai. Mi metto in un angolo, a osservare le persone che passano, veloci nelle loro vite diverse. D'estate, poi, l'allegro brulichio di gente fa sembrare impossibile essere triste, anche per un solo, isolato attimo. Amo questo luogo, in ogni stagione. Mi riporta alla gioia dell'infinito. Mi riporta a Lei.
Ma la scorsa settimana, appunto, mentre ero in coda per il mio hamburger, ho sentito casualmente due donne che, chiacchierando, parlavano di Lei. Credo fossero colleghe, perchè la conversazione verteva sui turni da coprire e sul lavoro che sarebbe rimasto arretrato. Ci ho messo un po' a unire le parole che stavo ascoltando con l'adorata coinquilina del mio cuore. Poi, ho capito: Lei è incinta. Aspetta un bambino. Avrà presto un figlio. Condividerà la felicità così definitiva di diventare mamma con un lui che non sono io. I suoi occhi parleranno a un altro uomo, raccontandogli cose che ho sempre immaginato avrebbero un giorno raccontato a me. E' strano come certe cose si capiscano in un lampo, all'improvviso: il mio cuore l'ho sentito uscire dal petto, e credo ce l'abbia messa tutta per parlarmi, per rubare un po' della mia attenzione, per farmi finalmente ragionare. L'ho visto prendermi in disparte e mettermi un braccio attorno al collo, abbassare il tono di voce e sussurrarmi nell'orecchio ciò che il mio cervello non aveva mai voluto ammettere: da sei anni e ventidue giorni ero solamente in attesa. Avevo parcheggiato Lei nel mio cuore con la speranza di fermare il tempo, vivere tutto quello che mi restava di questa vita con mia moglie e i miei figli fino alla vecchiaia, fino alla morte, e poi ritornare indietro, riprendere Lei da dove eravamo rimasti e ricominciare a vivere di nuovo, la vera vita che stavamo aspettando. Attendevo di vederla io, quella luce di felice incredulità, quando mi avrebbe annunciato di essere incinta. Attendevo di vedere nascere quel figlio del nostro amore. Di vederlo crescere, di tornare a casa la sera dopo il lavoro e ascoltare la sua voce allegra, e cogliere la scintilla di gioia che, nonostante la stanchezza della giornata, avrebbe abbellito gli occhi di Lei, al mio rientro. Attendevo di programmare le vacanze, gli acquisti, il dentista e la partita di calcio della domenica. Attendevo di vivere l'infinito.
Quel giorno, sono uscito dalla coda senza hamburger, e ho iniziato a camminare sul lungomare. Lo faccio tutti i giorni, da allora. Tengo la testa bassa, per non perdermi nessuno dei granelli di sabbia che riempiono la spiaggia. Osservarli, mi riappacifica col mondo. Provo a contarli, ma spesso mi perdo e torno indietro e questo mi dà serenità: ce ne sono miliardi, e ovunque volga lo sguardo la loro presenza mi calma, mi ridà fiducia in qualcosa che non conosce fine. Immagino di camminare per chilometri e chilometri e di ritrovare sempre la stessa sabbia sotto ai miei piedi, ascoltando il suono del mare, che continua a portarmene di nuova. Ciò che fino alla scorsa settimana dimorava dentro di me, rintanato in un angolo del mio cuore, si è spezzato, d'un tratto: sei anni e ventidue giorni interrotti senza un preavviso. Credevo bastasse stare appiccicati a qualcuno dentro al cuore, per mantenere infinita la promessa di vita. Credevo che, anche se Lei non ne era consapevole, avrebbe aspettato per sempre, con me, quello che sarebbe venuto. Camminavo dentro a questa vita con questa promessa di infinità. Ora, il mio cuore ha bisogno di un nuovo infinito; conto i granelli di sabbia, e mi pare di poterlo riempire così.
Qualcuno, ogni tanto, accenna un saluto incrociandomi. Vede un uomo solo - solo come non sono mai stato - con la testa bassa e lo sguardo rivolto al suolo. Mi sente mormorare con un filo di voce, perchè cammino contando i granelli, e ogni giorno proseguo dal numero a cui ero arrivato il giorno prima. Penserà che io sia malato, come sono malate quelle persone che non hanno nessuno a cui raccontare di sé. Ma io mi sto curando, già, e il giorno in cui non verrò più qui sul lungomare a contare, sarà forse il giorno in cui inizierò davvero a vivere la vita che sto vivendo ora. Mi sveglierò la mattina senza sentire il vuoto in un angolo del mio cuore, e farò colazione mangiando solo per uno. Andrò al lavoro senza accumulare nella testa le cose da raccontare poi a casa e rientrerò la sera, senza cercare più la scintilla negli occhi di mia moglie, perchè non avrò più nessuno a cui paragonarla. Andrò a dormire sperando di non sognare, perchè sarò sicuro che nei sogni non sarò mai più felice.
Ma finchè i granelli di sabbia non si esauriranno, io tornerò qui, in cerca dell'infinito. Quello che mi ha portato avanti in questi anni, quello che tenevo appiccicato al cuore. Perchè l'infinito, se anche la vita, a volte, fa di tutto per farlo vacillare, non dovrebbe finire mai.
(racconto ispirato alla foto di Coney Island di Ivano Mercanzin, tratto dal libro "L'anima fotografata" di Tania Piazza)