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RACCONTO: Angoli opposti di Tania Piazza

date » 14-08-2018 15:44

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ph. Ivano Mercanzin - Venezia 2018ph. Ivano Mercanzin - Venezia 2018

“Vorrei, da te, un figlio con i capelli rossi.”
Ricordo, quando te lo dicevo.
“E vorrei nascesse per un vero atto d’amore”, aggiungevo.
E’ buffo, come me ne sia dimenticato per anni. L’avevo riposto in una valigia, quel nostro figlio immaginato, e l’avevo chiuso dentro a un armadio. Non prima di averlo guardato sorridere, con una scintilla della tua vita impressa nei suoi occhi chiari. A volte, ciò che più ci sta vicino al cuore, lo releghiamo in un antro lontano del cervello, come se le due distanze indirettamente proporzionali potessero aiutarci a vivere.
(Che sia il momento di ritirarlo fuori, quel sogno? Magari un figlio non più, anche se allora pareva essere la cima più alta che io e te avremmo mai potuto raggiungere. Ma sarei disposto a rinunciarvi, credo, oggi. In cambio di te.)
Ho iniziato a sognarti che ancora non eri partita. La notte prima che te ne andassi, ma io già lo sapevo che sarebbe successo. Da allora, uso i sogni della notte per riportarti indietro, come se solo nelle ore più buie riuscissi a essere di nuovo me stesso. Mi ci sono abituato, a questa vita capovolta, tanto che mi capita di confondermi. Questo traghetto, stamane, e le persone che trasporta. Le loro voci, i loro odori, i loro vestiti sgargianti. Di che mondo fanno parte? A tratti, non capisco fino a che punto sono sveglio e fino a che punto sto sognando. Mi estraneo e osservo. Come ho fatto, in silenzio e in disparte, per tutti questi anni. La tua partenza, ora, ha sradicato le mie certezze.
Sto venendo a dirtelo, di quel figlio con i capelli rossi. Anche se tu non ci sei più. Devo raccontarti che lui, nel frattempo, è cresciuto. Nonostante l’avessi chiuso in una valigia remota della mia testa, e nascosto in un armadio scuro e profondo. Lui è cresciuto, lo capisci? Senza di noi. Se ne è fregato delle nostre ragioni e dei nostri torti, del male che ci siamo fatti e del bene che sembrava seppellito sotto a metri di terra. Me ne sono accorto quella notte, quella prima della tua partenza, quando ti ho sognata. C’era una stanza quadrata, senza uscite. Io e te eravamo agli angoli opposti, e nessuno si curava dell’altro. Come se non ci vedessimo nemmeno. Al centro, c’era lui. Che era metà me e metà te. La nostra essenza fusa in un unico essere. Esisteva, a prescindere da noi.
L’avevo scordato, sai? E forse l’hai fatto anche tu.
Non vedo l’ora che questo traghetto attracchi. La via per arrivare a casa tua non l’ho dimenticata, anche se non l’ho più percorsa. L’ho ripassata per tutti questi anni, perché speravo che, tracciandola come un profondo solco nella mia mente, avresti saputo come trovarmi, se ne avessi sentito il bisogno. Oggi, il bisogno lo sento io, e la sto percorrendo al contrario. Da me a te. Il traghetto, poi le calli, la piazza e il palazzo. Lo so che sei partita da tempo, me l’hanno detto. Ma io, la chiave di casa tua la conservo ancora. E oggi, la userò per entrare e cercarti tra le stanze che abbiamo abitato. Mi ci vorrà un po’, per abituare gli occhi a vagare tra la tua assenza, là dentro. Il camino sarà spento. La musica non suonerà girando libera tra i piani. Il suono dei miei piedi nudi sulle scale si diffonderà nel vuoto. Ma ho un pennarello rosso, nella tasca della giacca. Salirò fino alla camera, con il letto di fronte alla veranda che sovrasta gli alti tetti. Lascerò le luci spente, perché non ho bisogno di vedere nulla: le mie mani andranno da sole, sul lenzuolo chiaro. Amavi osservarmi mentre scrivevo, e questo momento lo dedicherò a te.
Guardami, Anna, guardami ora che sono qui. Scrivo, non vedi? Come piaceva a te. E’ un vero atto d’amore, quello che sto facendo. “Nostro figlio ha i capelli rossi.” Come volevo io.
Svetteranno senza pudore, le lettere carminio sulla stoffa bianca. Ma era l’unico modo per dirtelo, ormai. Così, quando tornerai – tornerai? – lo saprai anche tu.
Poi, scenderò le scale veloce, e uscirò dalla tua porta lasciando che il mio sguardo cerchi e rubi tutto quello che, di te, vorrò portarmi via. Ripercorrerò la via al contrario e tornerò al molo, e poi su questo traghetto o un altro ancora, e vedrò gente, sentirò discorsi, annuserò odori e mi riparerò gli occhi dalla luce inopportuna dei vestiti dei turisti. E stanotte, ne sono certo, non ti sognerò.
Non vedo l’ora che questo traghetto attracchi.

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