Liberamente ispirato ai luoghi descritti nel libro di Eugenio Marzotto "Sto bene qui".
IL NOIR SVELA LA PERIFERIA
Certe notti ti senti padrone di un posto che tanto di giorno non c’è. Certe notti se sei fortunato bussi alla porta di chi è come te. Certe notti prendi una strada, la regionale 11, per tutti la “Statale”, per ritrovarti in un luogo che un luogo non è, tra il casello dell’autostrada, la tangenziale, la ferrovia, i capannoni, i supermercati, le catene di kebab, le sale scommesse, tra la pianura e i colli là in fondo. Ha qualcosa di unico eppure anche di già visto in cento altri posti questa quintessenza delle periferie del Nordest condensata ad Alte Ceccato, una Macondo al contrario dove è ambientato “Sto bene qui” (edizioni Kimerik, 180 pagine, 15 euro), primo romanzo firmato da Eugenio Marzotto, giornalista e responsabile del settore Sport del Giornale di Vicenza. Sto bene qui è un noir di periferia che mette al centro della scena la mutazione genetica che ha trasformato la provincia più profonda: «Quel regno composto da un quadrilatero di palazzi costruiti cinquant’anni prima era abitato da sempre da foresti. Negli anni Sessanta ci vivevano calabresi e siciliani, viaggianti verso il Nord per trovare lavoro. Cinquant’anni dopo altri uomini arrivavano sempre dal Sud, quello ancora più giù, e in quel paese, in quelle vie, tra le luminarie di Natale avevano solo l’obiettivo di sopravvivere a ogni costo e con ogni mezzo». È una storia fatta di storie, che si intrecciano al di qua e al di là del bancone del bar Calypso, il set perfetto per questo viaggio sotto la pelle della vicentinità, dove i personaggi cercano occasioni di rivincita da sconfitte, vite anonime, percorsi senza gloria, e dove finiranno per essere inghiottiti nella follia sanguinaria di un killer che aziona un’esplosione per dilaniare corpi e capovolgere destini, non desiderando altro che invertire l’inerzia delle cose. In questa Spoon River padana c’è Antonio, il vigile del fuoco ballerino, maestro di latinoamericano, il primo ad arrivare davanti alle macerie fumanti del Calypso. C’è Rossana, la barista figlia della padrona, nata regina senza esserlo stata mai, che sogna un futuro da attrice e quel sogno lo appende al casting organizzato proprio nel suo bar da Felice, un regista pugliese che qui nel Nordest vorrebbe girare il suo film che parla di amore e gioventù. C’è Pedro, il padre di Rossana, prigioniero già nel soprannome di un passato da trafficante di diamanti e icone russe, un passato che non passa e che si infiammerà proprio nella notte del Calypso, una notte di perdono e redenzione. E c’è Denny, il killer senza movente che per fuggire da una vita senza qualità decide di innescare un ordigno imbastito con le istruzioni messe insieme nei manuali da perito elettrotecnico. Quell’assenza di un perché condannerà Antonio a cercare senza pace il senso di una fine. Quanto a Denny, cliente affezionato del bar scelto come obiettivo e compagno di mille bevute e un milione di chiacchiere, la condanna per quella vendetta contro una società che sentiva matrigna sarà la sua solitudine. Angeli e demoni, vittime e sopravvissuti: nessuno si salva da solo, nessuno è soltanto buono o soltanto cattivo. Questo è un romanzo corale, senza vinti né vincitori, con il ritmo cinematografico di film come Magnolia o 21 grammi, in cui tutto appare eccessivo, eppure ogni cosa è terribilmente normale, sotto gli occhi di chi vive, lavora o passa ogni giorno per quel fazzoletto di provincia dove l’autore è nato e cresciuto e che racconta così: «Il più interessante dei non-luoghi che abbia mai conosciuto, autentico e duro, ospitale e controverso, sincero seppure ostico». Sullo sfondo i colori e gli odori di una periferia che non è solo spazio fisico ma anche punto di osservazione, condizione dell’anima, spirito del tempo. Marzotto dà voce a un mondo sommerso che cerca la luce della ribalta, che chiede di essere ascoltato e narrato, che vuole contare anche se non conta niente. Sto bene qui è una passeggiata sul lato selvaggio delle nostre periferie. Walk on the wild side: in fondo alle pagine e dietro l’inchiostro sembra di ascoltare le note di un sax baritono e la voce ruvida di un poeta dei bassifondi come Lou Reed. Non si può restare soli, certe notti qui. Tanto il Calypso riapre, primo o poi.
(Gian Marco Mancassola - Giornale di Vicenza - 5 novembre 2018)