Ritratti in mostra
al vernissage di
Massimo Barlettani
Venerdi 15 Novembre 2019
A cura di Francesca Bogliolo
La mostra sarà aperta al pubblico dal 15 Novembre 2019 al 11 Gennaio 2020
L’intuizione del vero.
La campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori.
Matsuo Basho
(1644 – 1694)
La poesia degli haiku colpisce con la potenza di un abbaglio, posa i nostri occhi su qualcosa che, senza soffermarci, avevamo oltrepassato un attimo prima, fissa una rivelazione laddove il sentire sa prevalere sul guardare. Colui che decida di cimentarsi o confrontarsi -anche attraverso l’atto artistico- con l’antica forma di poesia giapponese, deve saper osservare il mondo con sguardo attento, appagare il proprio animo nel silenzio, liberarsi dalle sovrastrutture che lo pervadono per poter afferrare come abile testimone l’essenza di un momento scevro da ogni rumore di sottofondo, carico di emozione, denso di verità. Nell’haiku il tempo si fa immobile, sospeso, l’attimo di vita diviene poesia. La narrazione non contiene un prima, né un dopo: è il qui e ora che prende forma in tutta la sua transitoria bellezza, intriso di certezza del presente. L’intuizione estetica raggruma in una sintesi, svelando tuttavia la natura transitoria della bellezza del vivere. L’esperienza intensa dell’effimero, tuttavia, richiede un prolungato esercizio: la sintetizzazione del reale non può che essere possibile dopo una lunga spoliazione del superfluo, all’interno di attimi che sappiano riconoscere e accogliere il destino di ogni uomo. In tali momenti, perfetti nella loro semplicità, dovrebbe e potrebbe essere rintracciato quel sentimento del sublime amato dagli artisti del Romanticismo, capace di ricondurre l’uomo alla coscienza della propria finitezza e, proprio per questo, di elevarlo e dissolverlo nell’infinito in quanto parte di un tutto. Leggeri, perfetti nella loro eterna caducità, i fiori di Massimo Barlettani si rivelano veri e propri haiku, esperienze pittoriche che sembrano sovrapporsi alla definizione dei componimenti giapponesi data da Barthes, che li definisce “una poetica di silenzi, una fragile essenza di apparizione”. L’occhio si appaga nel vuoto che circonda il pieno, i cui confini visivi sembrano voler oltrepassare la tela. La suggestione narrativa trova la sua dimensione nel colore, le cui sfumature paiono rimandare a un altrove, fatto di tempi e spazi che parevano o erano perduti. Barlettani attua e invita a prendere atto della necessità di riflessione sulla caducità del presente e sulla sua preziosità: ogni attimo, unico e irripetibile, va vissuto con piena coscienza. Liberatosi dagli elementi non indispensabili, cari invece alle antiche rappresentazioni della vanitas, Barlettani oltrepassa gli intenti figurativi della natura morta, che aveva fatto dei fiori un memento della disposizione effimera dell’esistenza: essi diventano piuttosto tramite delle possibilità infinite di una nuova vita, capace di germogliare ovunque la si sappia notare. Barlettani invita a cambiare il proprio punto di vista sul mondo, a coltivare un nuovo modo di fissare lo sguardo, che sappia permettere all’anima di essere attraversata dalla bellezza allo stesso modo in cui le ali della farfalla, in un celebre haiku di Basho, si lasciano attraversare dall’incenso. In poche parole, così come in misurati tratti pittorici, resta racchiusa l’essenza della vita, la coscienza del presente, l’intuizione del vero.
Il profumo dell’orchidea
penetra come incenso
le ali di una farfalla.
(Matsuo Basho)