ivanomercanzin.it logo
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
1 / 20 ‹   › ‹  1 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
2 / 20 ‹   › ‹  2 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
3 / 20 ‹   › ‹  3 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
4 / 20 ‹   › ‹  4 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
5 / 20 ‹   › ‹  5 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
6 / 20 ‹   › ‹  6 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
7 / 20 ‹   › ‹  7 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
8 / 20 ‹   › ‹  8 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
9 / 20 ‹   › ‹  9 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
10 / 20 ‹   › ‹  10 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
11 / 20 ‹   › ‹  11 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
12 / 20 ‹   › ‹  12 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
13 / 20 ‹   › ‹  13 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
14 / 20 ‹   › ‹  14 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
15 / 20 ‹   › ‹  15 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
16 / 20 ‹   › ‹  16 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
17 / 20 ‹   › ‹  17 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
18 / 20 ‹   › ‹  18 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
19 / 20 ‹   › ‹  19 / 20  › pause play enlarge slideshow
Terra Madre
aggiungi al carrello
add to shopping cart
chiudi
close

Opzioni disponibili
Options available
carrello
cart
condizioni
terms
20 / 20 ‹   › ‹  20 / 20  › pause play enlarge slideshow

Terra Madre

PER ACQUISTARE IL LIBRO

La natura come elemento primordiale, l’origine del tutto, segni nella terra come grafie che raccontano dalla notte dei tempi, neve, ghiaccio a segnare, a incidere come lame sottili.
I gelsi creano archi naturali dove proteggersi, dove essere raccolti e abbracciati come in un nido protettivo.
D’ intorno il paesaggio rarefatto, onirico, surreale.
Ogni tronco racconta la sua storia, fatta di millenni, di sferzate del tempo, del sole, della luce e delle ombre.
La texture della corteccia come tavole del tempo dove è scritto passato e presente.
Tronchi che assumono forme di animali, essere viventi, animati da una forza prorompente, si stagliano nel cielo bianco, reso incolore privo di consistenza.
Poi la natura si ribella, prende vita , le fronde rinascono, ondeggiano nell’aria bagnate dalla nuova stagione che prorompe.
E’ la storia di sempre.
(Ivano Mercanzin)
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Madre terra: di Salvatore Fittipaldi
(inedito e in esclusiva,per questo progetto)

1
se l'uomo giudica la terra , la terra non lo giudica,
non chiarisce i suoi errori: la terra non dice niente,
come se, obbedendo alle leggi della pazienza,
guardando la sua bellezza, la terra non facesse altro
che obbedire all'esigenza profonda della natura,
come se, per un impulso ispirato, rapisse alla mano
dell'uomo l'ombra e il chiarore e, a sua insaputa,
riportasse la sua grandezza al grande splendore
del giorno:

2
quella terra di alberi e di foglie, che si mette in vista,
che ci lascia qui, dove non si è mai lontano
dal qui che ci regala: quella terra dove esistono
le condizioni per un vero soggiorno, dove si vorrebbe
vivere in un abbraccio imperdibile, in una esclusione
dalla quale non si è mai esclusi: in quella terra dove
tutto comincia e non ha fine, dove sussiste il tempo,
la possibilità di errare o rimanere, d'andare oltre
il mondo e avvicinarsi alla madre natura:
camminare con una sola meta, nella certezza
d'arrivare senza un verificabile cammino:

3
e se ci distogliamo dall'esteriore e scendiamo giù nei solchi,
verso quello spazio profondo, immaginario che è l'intimità
della terra, l'incoscienza cerca la coscienza, come via d'uscita,
nelle viscere, nelle venature, nei cunicoli scavati dalla pazienza
del tempo, dalla pioggia, fino a trovare la purezza che usano
gli animali nella tana, negli anfratti, nella fedeltà alla vita:

4
sollevare la pietra: ecco la missione: inginocchiarsi, genuflettersi
e sollevare la pietra al cielo, renderla trasparente come il sole,
dissolverla con la penetrazione dello sguardo che la passa,
la trasforma in luce, in mille punti vertiginosi:
sollevare la pietra della vita, della tomba
di Lazzaro e scoprire che ancora non è morto:

5
il paesaggio non è l'unità inerte che riposa:
è intimità e violenza di movimenti simili e contrari,
che non si conciliano, che si placano, si cercano:
intimità e movimento in cui si confrontano antagonismi,
a volte inconciliabili, che trovano pienezza in ciò che
li oppone, in ciò che schiudono e che nascondono,
lasciano chiuso:
il paesaggio è luce che splende sul buio, che vive dell'oscurità,
che avvolge il chiaro e lo scuro del primo e l'ultimo chiarore:
lo schiudersi e il richiudersi di quello che rivela, che inghiotte
dentro l'unione dei contrari:

6
dicono che il paesaggio è solitario:
questo non significa che la vista, la visuale gli vengono
a mancare: chi guarda, entra nell'affermazione della
solitudine del paesaggio e al paesaggio stesso appartiene
il rischio di sembrare solo:

7
la terra non parla, non ha parole, non parla il linguaggio
che gli uomini parlano ma si rivolge a chi la guarda:
lo interpella, lo chiama, lo meraviglia: il linguaggio
mancante la fa parlare con il silenzio abituale:
la terra parla solo in presenza di chi la scruta:

8
le parole degli alberi sono di legno massiccio,
sono quelle che nominano e il nascosto e l'estraneo,
che non sono solo parole ma uso corretto della parola,
che descrivono la MADRE TERRA come rifugio,
come presenza dell'universo chiuso nei rami,
sotto la scorza, nel lavoro segreto delle radici:
le parole degli alberi racchiudono il mondo
che le fa parlare, che le lascia in disparte,
racchiuse nel cerchio contorto del tronco,
dentro gli incavi, le riserve interne,
negli spazi privi di aria e di luce,
e in ogni più piccolo intreccio :

9
la verità degli alberi è racchiusa dentro un'impressione
di solitudine, dentro l'evidenza incomprensibile
di essere liberi d'affermarsi senza la verità dell'uomo:

10
la metamorfosi degli alberi
appartiene all'autenticità della natura:

----------------------------------------------------------------

Guanti di velluto di Tania Piazza

Me ne venivo spesso, da adolescente, a camminare lungo questo argine. Ciò che mi attirava qui era il modo in cui la terra, d’un tratto, scende brusca, fino a tramutarsi in fiume. D’inverno – quei lontani inverni erano incredibilmente ricchi di pioggia e l’acqua vi scorreva vociando con grande fragore – era la musica che usciva dal suo letto a tenermi legata a questo luogo. I miei pensieri tristi divenivano improvvisamente troppo timidi e il loro rumore – ciò che di solito, nelle lunghe ore dei pomeriggi dopo la scuola, mi pareva insormontabile da qualunque altra voce – veniva azzerato. L’acqua li ricopriva tutti e io ne gioivo. Ero attorniata da uno spazio sconfinato e potevo starmene con la mente libera, finalmente svuotata.
Ogni volta che ne sentivo il bisogno, ci facevo ritorno: correvo a casa svelta dopo le lezioni, e non parlavo con nessuno lungo la strada, perché non volevo perdere tempo. Mangiavo in silenzio; mamma mi guardava pensierosa e io lo so – ora lo so – quali fossero le sue paure. Non aveva modo di capirmi e credo si sia lentamente consumata negli anni in questa maniera. Ripensando al suo viso costernato, mentre di sottecchi cercava di cogliere un cenno nei miei occhi che le parlasse di quello che avevo dentro, so di averle inflitto la pena più grave: quella di essere assolutamente certa della incurabile tristezza della propria figlia e di essere contemporaneamente consapevole di stare fuori – fuori – dal suo mondo. Senza poter lanciare una corda per provare a salvarla. Credo di averla convinta, nel tempo, di non averne diritto. Da dove mi arrivasse questa certezza, ancora non lo so.
La neve, qui, oggi mi fa pensare alla purezza che ho perduto, a quella che forse non ho mai davvero conosciuto. Quella stessa che rivedo nei giovani volti dei miei figli, ora, quando mi guardano con la speranza negli occhi e l’assurdo, immotivato istinto che li porta a fidarsi di me. Mi pare di essere diventata migliore, nel tempo, ma non so dire perché i loro cuori debbano affidarsi a me in questo modo. Io so di non averlo mai fatto, con mamma, e so per certo di averla uccisa per questo, negli anni. Quando penso a una preghiera, non ci sono parole nella mia testa, né cantici. Solo un’intenzione: quella impressa negli occhi di mamma, quando mi fissava implorandomi di capire. Di lasciare che mi amasse. Di lasciarmi amare, non di amarla: le sarebbe bastato questo, che io mi affidassi a lei. Eccola, l’unica preghiera che conosco, ma che non ho mai praticato.
A volte, di sera, quando ora mi siedo per un attimo in camera a fianco dei loro lettini prima che si addormentino, cerco di riportare lì dentro gli occhi di mia madre. Chiudo i miei, e li stringo forte, perché il ricordo è troppo doloroso, e quando passa porta con sé una grande pena. Qualcosa, non so da dove, esce dalle mie labbra. Parole che parlano di un amore che non so spiegare bene, quello che insegna della vita senza chiedere nulla in cambio, come mia madre. Così, faceva lei. E infatti, non le ho mai dato nulla, in cambio. Nulla. Solo parole insulse, vuote come stanze disabitate. Scarne e senza anima. Oggi, ci provo, lo giuro; voglio, con tutto il cuore di cui sono capace, che i miei figli non diventino come me. Cerco di riportare a memoria quello che mi narrava mamma: io non la ascoltavo, ma qualcosa, da qualche parte nel mio cervello, metteva tutto in un angolo e registrava. Forse capiva la mia inadeguatezza.
E’ il ghiaccio sul terreno, più della neve, a ferirmi dentro stamattina, mentre cammino. Le scarpe fanno rumore e in questo silenzio – lo stesso che ritrovavo qui negli anni della mia adolescenza – prendono un tono grave che assomiglia a delle urla. Mi fermo per un attimo per ritrovare il mio respiro e mi guardo intorno: non c’è anima viva. Nessuno. Il sentiero è delimitato da grandi alberi con lunghi artigli affilati. So che quelli di destra costeggiano il fiume, ne riconosco la voce. Ancora, come allora, il suo canto sovrasta la mia inquietudine: in questo breve, salvifico armistizio temporale, lascio andare la mia mente e pregusto il momento, tra poco o tanto, non so, in cui i miei figli inizieranno a fare tesoro di tutti i piccoli insegnamenti che, ascoltando la voce registrata nella mia mente, sto provando a dar loro. Cerco di visualizzare l’espressione stupita che avrebbe mamma, e la sua incredula felicità nel rendersi conto che qualcuno, finalmente, ha imparato da ciò che aveva seminato. Anche se indirettamente.
Un tramite, ecco cosa sono. Una via da percorrere, per gli altri. Come questo sentiero, che costeggia il fiume. E questi alberi, secchi e svuotati, mani piantate al suolo e artigli rivolti al cielo. Il vento li ha piegati e la loro pelle si è segnata, inaridendosi, ma la terra madre li ha protetti, crescendoli, nonostante tutto. Una terra Madre. In cui far germogliare i propri sogni e le proprie visioni. In cui soffocare la tristezza. Fare spazio – tanto spazio – alla gioia.
Mi pare di potermelo immaginare un sorriso rumoroso, di quelli che hanno una voce squillante che sfida i silenzi. Quelli, vorrei un giorno per i miei figli. Sentirli ridere anche a distanza, anche quando vivranno in altre parti di questa città o del mondo e magari non potrò vederli. Vorrei avere una certezza nel cuore, lieve ma immutabile, come l’acqua di questo fiume: saperli sempre con occhi spalancati che non sfuggono, pronti a trasferire emozioni, a parlarsi nel linguaggio di chi può comprendere a fondo il significato dell’amore. Vorrei poter essere certa che mai, negli anni a venire, avranno la visione di avermi uccisa, lentamente, con la loro insondabilità. Vorrei divenissero terre calpestabili, abitabili, colonizzabili. Avessero un luogo in cui la loro tristezza, quando arriverà, saprà essere calmata, coccolata, accudita, fatta crescere, trasformata. Sarà come questo sentiero, magari, che scorre vicino al suo fiume. E avrà una voce ben definita, che parlerà loro della vita.
(Per un attimo, mi sono fatta trasportare. Ho camminato con i loro passi, sui loro passi. Ho seguito la direzione in cui mi portano questi alberi di velluto scuro, calpestando la neve e il ghiaccio, pensando a mamma, alla mia vita, alla sua, alla loro. Mi sono sentita leggera e piena, per un attimo.)
Alla fine del boschetto, prima del dirupo, una leggera curva fa virare il sentiero verso destra. In quel punto, gli alberi si trasformano, perdendo i rami. Divengono creature preistoriche, mani monche, amputate delle loro estremità più belle. E’ come essere usciti da una galleria: i suoni non rimbombano più, disperdendosi nell’infinito. Sapessi liberare la mia voce qui, potrei ammirarla prendere il volo. La manderei da mamma. Le chiederei se è ancora triste, della mia tristezza. Se magari, nel tempo, non abbia imparato a passare sopra alla mia inquietudine di vivere. Se abbia smesso di farsi una colpa per la mia incapacità di amare. Se ha imparato a perdonarmi e a perdonarsi. Se vuole, per favore, prendersi cura dei miei due gioielli, quei nipoti che adorerebbe e ai quali insegnerebbe a lasciarsi guardare dritto negli occhi, perché attraverso gli occhi passa l’amore, tutto quello che le è rimasto dentro e che io rifiutavo. Se ha smesso di soffrire il mio mondo, al quale non aveva accesso.
Se solo avesse trovato il modo di scardinarlo, quel mondo! Saremmo in quattro ora, qui, a correre e a calpestare la neve e il ghiaccio. Sentirei le risate dei miei due bambini e il suo sorriso rumoroso, che si perdono nell’infinito. E io, chiuderei gli occhi e li terrei stretti, non per il dolore, stavolta, ma per trattenere tutto quello che stanno guardando, con il timore che possa fuggire via, dissolvendosi nel nulla.
Quel nulla che ora, riaprendoli, mi ritrovo davanti. Alberi smembrati, senza più rami, come guanti di velluto scuro a cui abbiano tagliato le dita. Ecco ciò che sono sempre stata: un’anima amputata. Mi fermo per ritrovare la voce del fiume, stavolta, che scorre invisibile ai miei occhi, e lascio che la sua canzone mi riempia le orecchie e gli occhi: voglio essere come gli alberi che lo contornano, non come questi, spezzati a metà. Voglio avere rami che sfiorano le nuvole, su cui far crescere la vita. Voglio poterli far diventare lunghi, quei rami, farli arrivare più in alto possibile, forti e rigogliosi, fino al cielo; e una volta che le mie dita lo toccheranno, l’emozione li farà riempire di foglie, dapprincipio invisibili in mezzo al velluto ma via via sempre più vistose. E forti. Trasporterò, instancabile, la linfa ogni giorno per loro, e dentro di essa ci metterò una grande dose di amore, la più grande di cui sia capace. Cresceranno belle e robuste, le mie foglie. Come i miei figli.
E loro, un giorno, quando ne sentiranno il bisogno e andranno a cercar ristoro nel luogo prediletto, si perderanno ad ammirare gli alberi; e la loro tristezza, quando arriverà, verrà calmata, coccolata, accudita, trasformata. Proprio come è successo a me.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

TERRA MADRE di Franco Gobbetti

TERRA MADRE, forse madre ancora per poco purtroppo, in una mia riflessione personale ammirando le significative foto di Ivano Mercanzin... ...........................
Nella magnifica essenzialità e purezza espressiva del bianco e nero, in tutte le sue basilari e strutturali sfumature grafiche e visive, si materializza questo foto racconto di Ivano Mercanzin; Terra Madre.
Ne emergono una serie di visioni che ritraggono ancora una volta la terra, la natura e l'ambiente o meglio ciò che ne rimane attualmente, in certi luoghi. Gli elementi appaiono però in tutta la loro delusione di un paesaggio tradito, asservito, fin troppo condizionato dall'uomo che come spesso succede in questi casi, rischia di diventare purtroppo solo un predatore.
Qui la terra smette di essere naturale, qui il paesaggio non appartiene più solo alla natura ma soprattutto all'intervento e al dominio continuo dell'uomo. Le belle foto di Ivano ci mostrano il pesante segno che, come una ferita continua, come una cicatrice, l'umanità agricola incide nella terra, sulla terra e sui suoi elementi che in questo modo smettono di essere naturali.
Il territorio appare piegato, modellato, plasmato e artefatto dall'intervento contadino e agricolo. Gli alberi, in questo caso i gelsi, che un tempo servivano in modo pur sempre utilitaristico per alimentare il baco da seta, ora vengono usati per sottolineare percorsi, viottoli, per accompagnare stradine di campagna, per perimetrare confini e proprietà.
Sembra che i contadini un tempo e gli agricoltori oggi abbiano avuto e conservino tuttora il terrore degli alberi. Gli alberi tolgono spazio alla campagna coltivabile, quindi, almeno chè non abbiano altre funzioni specifiche e sempre utilitaristiche, vengono considerati presenze d'impiccio, presenze inutili. Il territorio prende perciò sempre più una forma forzata e schiavizzata alle esigenze della produzione agricola industriale.
L'erba viene diserbata, i fiori di campo sono diventati solo un ricordo, gli alberi vengono sradicati o abbattuti e la loro presenza è suscettibile di continui cambiamenti e modifiche. La terra viene arata e seminata, viene incisa e continuamente segnata in solchi, si raccoglie il prezioso frutto del suolo quindi si riara e si risemina. La terra viene continuamente depredata e impoverita. Per arricchirla e per ammaestrarla si usa la chimica industriale e di sintesi, il danno che si produce continuamente è sotto gli occhi di tutti.
Gli animali selvatici sono ormai spariti da tempo e ciò che rimane sono solo questi residui arborei che come spettri rappresentano ormai soltanto in una povera sintesi, la ricchezza, la bellezza naturale e selvatica di un tempo. In queste foto emerge in modo evidente tutta l'azione degradante e pesantemente condizionante dell'uomo.
Il paesaggio non conserva più i suoi tratti primigeni ma mostra invece ad ogni passo, ad ogni metro l'opera contaminante e degradante dell'uomo. Indubbiamente Ivano ha colto tutta l'estetica simbolica e rappresentativa di questo ambiente che talvolta sembra piangere nella rugosità dei tronchi, nelle screpolature delle cortecce, sembra intristirsi nelle profonde incisioni e pieghe del terreno, dei campi.
Talvolta sembra invece che il territorio e l'ultima natura rimasta vogliano ancora sorridere ed esprimersi, quasi parlare in tardivi lampi di sopravvissuta e disperata bellezza. Sì, Ivano ha colto l'estetica, ha colto la grafica, ha colto la poesia dolente e simbolica di questi elementi ma ne ha anche colto la sofferenza, la decadenza e l'azione peccaminosa, irrispettosa e colpevole dell'uomo ormai padrone e despota di questa ultima terra ancora viva e vitale nonostante tutto.
Sì, il peccato è stato commesso e si continua a commettere, l'azione peccaminosa è evidente infatti è divenuta, come purtroppo spesso ormai succede, merce di scambio e di baratto per la ricchezza, per il cosiddetto progresso, per il benessere umano, per la fame dei ricchi e dei poveri ma soprattutto temo per la fame dei ricchi.
(12 agosto 2016)

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

4 febbraio 1957 di Giuseppe Iovio

posso finalmente addentrarmi
nella campagna aperta

porto con me
la spada di legno
e l'elmo di carta

novello cavaliere
avanzo nella galleria di gelsi neri
tentacoli protesi al cielo grigio
mi immelmo in una coperta acquea
di terre e canali

trapasso architetture di merletti
ghiacci di brina
occhi di gemma mi scrutano

e corro veloce per sorprendere
la strega e il drago volante

un battito d'ali e subito mi volto :
tutto è nebbioso, tutti spariti.

è il 4 febbraio del 1957
ho 7 anni.

(Vicenza, dal 4 al 17 febbraio 2015)
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Perchè gli alberi affascinano l'uomo di ogni tempo e luogo? di Paola Palmaroli

Perché gli alberi affascinano l'uomo di ogni tempo e luogo?
Per quale motivo sentiamo il bisogno di raccontarli, di visualizzarli attraverso dipinti e fotografie?
Ivano Mercanzin ha colto in questi scatti l'epica delle radici e delle origini della vita cogliendo nei rami e nei tronchi di questi straordinari alberi l'essenza dell'esistenza stessa, nella quale la vita affonda le sue radici e accentua ogni suo moto interiore e fisico attraverso il ricordo e la memoria. Gli alberi custodiscono nei loro tronchi anelli di memoria di un tempo attraversato da luci e ombre, ecco perché leggende e fiabe li rendono umani e donano loro caratteristiche simili a quelle psicologiche che ci caratterizzano come esseri viventi! Ivano ha colto la magia della terra e di quelle braccia che s’intrecciano in corridoi del tempo attraversati da tutti coloro che hanno speso giorni, mesi, anni a trarre sostentamento da zolle e campi, piegando la schiena come rami contorti ed avvinghiati l'uno all'altro. Le cicatrici sui tronchi paiono simili a quelle che dimorano sulla pelle di uomini e donne che hanno vissuto a lungo il tempo e ogni sua manifestazione naturale, con le stagioni che si succedevano l'una all'altra simili ad un viale alberato dove ogni coppia di alberi respira insieme a chi ci passa accanto. Il profumo della vita è in quei germogli che a primavera rinnovano una promessa apparentemente eterna, foglie che spuntano all'improvviso e risuonano smosse dal vento, voci che d'estate sembrano risate e in autunno sospiri.
Il ricamo degli alberi immortalati da Ivano sono abbracci che vorremmo far nostri, sublimiamo questi giganti rassicuranti e secolari che la natura ci dona camminando accanto ad essi, lavorando e cercando ristoro sotto le loro fronde, soffermandoci ad ammirarli e ad ascoltarne il respiro, consapevoli che da essi dipenda la nostra vita così come la conosciamo. Quale stagione migliore dell'anno per comunicare la loro magia se non l'inverno, dove scabri i rami appaiono dita e braccia che cercano aiuto nella luce fioca e gelida che il solo invia dall'alba al tramonto. Scopriamo in inverno la colonna vertebrale che li sostiene, rami come ossa contorte e scolpite dalla tensione di raggiungere la luce del sole. Forse è questo il motivo per cui alcuni abbracciano un albero,altri lo adottano e lo seguono nella sua crescita, altri ancora lo fanno rinascere trapiantando un suo ramo nella nuda terra alla nascita di un figlio perché testimoni la crescita e l'evoluzione di quella vita tanto amata raggiungendo il cielo e seguendo le correnti dei venti, catturando con le foglie echi lontani che hanno bisogno di essere sia ascoltati che narrati. Gli alberi sono testimoni di un ciclo naturale della vita e del succedersi dei secoli e della storia umana in essi inscritti. In quei tronchi è narrata la siccità o l'abbondanza, il gelo di lunghi inverni e la grazia di estati feconde e prolungate come nei volti umani è raccontata la vita giorno dopo giorno attraverso rughe d'espressione ed intensità di sguardi profondi come la notte e sinceri come l'immediatezza e la malinconia di un'alba che si fa conquistare dalla luce. Alberi che nelle fotografie che stiamo ammirando sono la scrittura di un tempo e di una storia antica come l'uomo stesso, fotografati per rendere onore alla loro bellezza spettacolare, all'alleanza profonda che si è instaurata tra la loro natura e quella umana da non spezzare mai, memori che nella loro fine è insita la nostra.

Progetto presentato il 03.10.15 a Marc De Tollenaere,Leica Ambassador, per la "lettura portfolio".


Quando guardiamo ad un albero viene in mente la propria madre, le radici non sono state tagliate alla nascita ma rafforzate da una linfa che scorre nel nutrimento che ci ha fornito fino a renderci indipendenti e liberi di camminare con le nostre gambe. Lei rimane come un albero con ogni sua fibra ancorata alla terra da cui ha tratto energia per farci nascere. Le sue mani come rami sono carezze che neppure l'autunno e l'inverno riesce a scarnificare.

Gli anelli della sua memoria crescono come quelli degli alberi anno dopo anno e descrivono non il tempo che passa non un presente ansioso di specchiarsi nel domani. Negli alberi ritratti da Ivano troviamo il tempo che non conosciamo, quello che non avremmo mai potuto immaginare di vivere senza le persone che ci hanno dato la vita e da essa si sono allontanate in punta di piedi.

Osservate la terra intorno, pronta per un nuovo risveglio, tutto tace ma freme sotto quelle zolle, la corteccia degli alberi è come un diapason, scandisce l'evoluzione di un tempo che non conosce tempo e si nutre dei giorni e delle notti senza chiedere mai ne quando ne perché accada tutto questo!


Quando muore una madre diventiamo improvvisamente adulti, guardiamo agli alberi che sono sempre stati lì davanti a noi da sempre e che saranno muti testimoni del nostro incedere anche dopo che ce ne saremo andati via in punta di piedi con la stessa pacatezza di chi ci ha preceduto, provando l'istintivo bisogno di fonderci in essi, nelle trame delle loro viscere secolari, per sentire ancora l'odore ed il ritmo della vita scorrere in noi.

Non esiste ramo o foglia che non comunichi con il cielo, con la luce, con la terra da cui aspira la linfa per protendersi all'infinito cercando di sfiorare il cuore dell'universo che sente battere dentro se stesso.

L'umana natura assomiglia agli alberi, alla loro ideale tensione che fa loro risollevare il capo ogni volta che ritorna la luce e la primavera, mai vinti dal gelo invernale, silenziosi e tenaci, pronti a farsi scolpire dalla voce del vento, dal ghiaccio, da un tempo che riescono a risucchiare e far loro.

Forse è proprio nella nostra fascinazione verso le loro forme che riconosciamo le infinite possibilità di essere unici e diversi ogni volta che un evento ci fa crescere, anello dopo anello allargando la sfera di influenza delle emozioni e della loro luce sui nostri destini.

Ivano Mercanzin fotografando questi alberi non ha fatto altro che accettare l'invito della natura di bere alla fonte del tempo che non ci è dato di conoscere come fanno le radici delle piante. Quelle tracce di vita che allungandosi, districandosi tra pietre e zolle di terra senza mai smettere di credere che la vita sia ovunque, senza mai fermarsi ad inseguirla sprofondando nelle viscere della terra o librandoci in cielo avvolti dal primo ed ultimo respiro che ci rimane impresso nel cuore. Paola Palmaroli

Paola Palmaroli (settembre 2018)

ITA - Informativa sui cookies • Questo sito internet utilizza la tecnologia dei cookies. Cliccando su 'Personalizza/Customize' accedi alla personalizzazione e alla informativa completa sul nostro utilizzo dei cookies. Cliccando su 'Rifiuta/Reject' acconsenti al solo utilizzo dei cookies tecnici. Cliccando su 'Accetta/Accept' acconsenti all'utilizzo dei cookies sia tecnici che di profilazione (se presenti).

ENG - Cookies policy • This website uses cookies technology. By clicking on 'Personalizza/Customize' you access the personalization and complete information on our use of cookies. By clicking on 'Rifiuta/Reject' you only consent to the use of technical cookies. By clicking on 'Accetta/Accept' you consent to the use of both technical cookies and profiling (if any).

Accetta
Accept
Rifiuta
Reject
Personalizza
Customize
Link
https://www.ivanomercanzin.it/terra_madre-p11029

Share on
/

Chiudi
Close
loading